C’era una volta un omino di ferro, fatto con gli appendiabiti di ferro delle lavanderie. Era nato così, non poteva farci niente.
Questo omino di ferro aveva tante qualità, era generoso e capace di ascoltare gli altri senza stancarsi o mostrare impazienza e soprattutto senza mai dissentire dal suo interlocutore. Era resistente e flessibile ed era capace di modellarsi in tante forme diverse, a seconda del bisogno: se incontrava una maestra diventava una penna, se incontrava un vigile diventava una paletta, se incontrava un bambino diventava una palla, se incontrava un amico diventava un fiore, un gelato, un telefono….
La sera il povero omino di ferro si sentiva tutto dolorante, perché aveva ormai preso tante di quelle forme che non riusciva quasi più a riprendere le sue sembianze.
L’omino di ferro la sera piangeva perché si sentiva solo: faceva di tutto per fare contenti gli altri, cambiava continuamente e questo gli richiedeva molta fatica, ma non veniva ricambiato.
Così smise di aver fiducia negli altri, ma non poteva impedirsi di accontentare sempre le loro richieste perché altrimenti gli altri avrebbero smesso definitivamente di considerarlo: “Non ci si può fidare di nessuno, ma non posso stare senza nessuno!” si diceva.
Col passare del tempo il povero omino di ferro, a furia di cambiare, cominciò a rompersi in alcuni punti e così dovette andare dal fabbro.
Quando il fabbro lo vide, chiese perplesso: “Ma questo pezzetto come stava attaccato agli altri? Non capisco quale era la tua forma originaria!”
Il povero omino di ferro era ormai irriconoscibile e lui stesso faceva fatica a dire dove quel pezzo di sé andasse riattaccato.
Si sentiva come se avesse dato tutto agli altri ma non avesse ricevuto nulla in cambio, se non svuotare se stesso della propria forma.
“Così non va!” diceva disperato, solo nel suo letto, solo nella sua casa vuota, solo mentre mangiava, faticando a ritrovare i propri contorni quando doveva vestirsi o quando doveva lavarsi.
Allora decise che era arrivato il momento di trovare una soluzione: doveva iniziare a riappiccicare i suoi pezzi, anche se non sapeva più in quale punto del suo corpo andassero; prese uno scotch colorato e iniziò ad incollare un po’ a caso i pezzetti di ferro che si erano staccati. Finito il lavoro si guardò allo specchio: questo corpo così cambiato, un po’ dolorante e un po’ precario, colorato dallo scotch, continuava a non piacergli ma almeno adesso era tornato a muoversi sebbene non agilmente come prima, e avrebbe potuto continuare a vivere, a camminare, a fare la spesa, a giocare.
L’omino di ferro però continuava a sentirsi solo, incapace di stare con le altre persone, a meno di non tornare ad attorcigliarsi tutto per farsi accettare, cosa che assolutamente non voleva ripetere visto quanto gli era costata cara! Così restava solo tutto il tempo, evitando il più possibile gli altri.
Un giorno si aggirava tutto solo in un parco, quando gli si avvicinarono dei bambini: “io ti conosco!”, disse uno di loro. “sei l’omino di ferro tutto solo che abita di fronte a casa mia!”.
L’omino si stupì: non aveva mai pensato che i suoi vicini si fossero accorti della sua presenza! Lui invece sapeva perfettamente chi erano: li sentiva ridere e scherzare e dalla loro porta provenivano sempre buonissimi profumi di piatti appena cucinati.
Così l’omino di ferro rispose un po’ titubante: “Buongiorno vicino di casa! Che piacere conoscerti”.
“mamma, mamma….ho conosciuto il nostro vicino di casa! Possiamo invitarlo a mangiare la torta?” il bambino aveva già voltato le spalle all’omino di ferro ed era corso dalla mamma.
L’omino di ferro, sentendosi brutto e sbagliato, iniziò subito ad allontanarsi: non voleva sentire quella mamma accampare scuse ridicole per rispondere di no alla richiesta del bambino.
Con grande stupore però l’omino di ferro vide la mamma del bambino alzarsi dalla panchina su cui era seduta e avvicinarsi a lui sorridendo. “Buongiorno! Che piacere finalmente incontrarla! Saremmo davvero contenti se volesse unirsi a noi per assaggiare uno degli ultimi dolci cucinati da Paolino! Sa, vuole fare il pasticcere da grande e così si esercita!”.
L’omino di ferro ebbe l’istinto di voltarsi e scappare: cosa ci faceva lì a parlare con quella mezza sconosciuta? Avrebbe sicuramente rovinato tutto dicendo qualcosa di sbagliato e lo avrebbero cacciato. Improvvisamente però sentì un formicolio in tutto il corpo, lo scotch saltò via dal braccio e i due pezzi invece che cadere, non più tenuti insieme dallo scotch, si saldarono e il suo braccio tornò a funzionare!
Stupito e felice, inebriato dalla gioia di sentire un pezzo di sé funzionare bene, osò accettare l’invito dei suoi gentili vicini di casa.
La merenda fu memorabile: una torta buonissima, chiacchiere e giochi, risate e scherzi fecero passare il tempo in un baleno e mentre l’omino di ferro si divertiva a giocare con i bambini e chiacchierava di tante idee interessanti con i loro genitori, il formicolio nel suo corpo diventò costante: una striscia di scotch dopo l’altra si staccava dal suo corpo, i pezzi di ferro si rinsaldavano tra loro e tornavano a muoversi agilmente. I bambini pensavano che l’omino di ferro stesse facendo un gioco di prestigio per loro e guardavano affascinati la magia che rendeva il corpo di quell’omino così diverso, flessuoso e agile, più alto e più robusto di come era prima.
L’omino di ferro guardava meravigliato le strisce di scotch che cadevano ai suoi piedi e si domandava quale strano incantesimo quei bambini avessero gettato su di lui. Iniziò agile a muoversi, cambiare forme, diventare un fiore, una tazza, una lampadina, ritrovando la flessibilità di un tempo! I bambini applaudivano divertiti e chiedevano il bis! I genitori però intervennero, spiegando che l’omino di ferro non poteva cambiare forma costantemente solo per divertirli, aveva anche bisogno di riposo, relax e di un’altra fetta di torta! I bambini corsero a prenderla in cucina e poi lo coinvolsero nel loro gioco preferito: nascondino!
L’omino di ferro corse a nascondersi, ma questa volta mentre si nascondeva non si sentiva sbagliato. Andava bene così, nascondersi per essere scoperti, nascondersi per uscire e fare tana!
Testo originale di Francesca Rossi