Concerto dei Pearl Jam, regalo di compleanno. Finalmente arriva la data tanto attesa. Non sono una seguace di vecchia data, li ho conosciuti da grande, grazie a mio marito, vero fan!

Dunque arriva questo prezioso weekend, dopo un anno davvero emotivamente impegnativo per le tante cose accadute alla nostra famiglia: viaggio a Imola, coda infinita ma non importa, ci stiamo rilassando (non abbiamo nemmeno il pensiero delle figlie che hanno un weekend pieno di attività meravigliose con una zia a cui manca solo l’ombrello parlante per essere Mary Poppins).

Arriviamo all’autodromo e vediamo letteralmente un mare di persone, 60.000 dicono i giornali. Mi sento quasi fuori posto, una ragazzina che va al concerto del suo idolo, ma io ho passato i 40!

Quando però osservo bene quel mare di persone mi rendo conto che la maggior parte di loro ha la mia età, anche se molti altri sono ben più giovani e molti altri ben più grandi!
Mi colpiscono poi altri aspetti come l’abbigliamento, gli accessori e l’aspetto fisico: dallo stile punk allo stile lady D. C’è tutta la rosa delle possibilità; grassi, magri, capelli lunghi, corti, tinti o grigi; barbe lunghe e incolte e visi rasati; chi mangia e chi beve, chi aspetta sdraiato l’inizio del concerto chi già balla e si scatena sotto il sole, chi arriva all’ultimo, chi è lì da ore, italiani ma anche tanti stranieri (saranno turisti che hanno approfittato della vacanza per vedere il concerto? oppure fan che seguono tutte le date? perché, è vero, non c’è mai una scaletta uguale all’altra ai concerti dei Pearl Jam)…. quanto siamo diversi!

E mi domando, curiosa da sempre di scoprire ciò che muove i cuori delle persone, che cosa ci attira qui, così in tanti e così diversi?

Poi ecco che arrivano: il barolo appoggiato per terra accanto all’asta del microfono, le prime note e la voce inconfondibile di Eddie Vedder. Come dicevo non li seguo da sempre e non conosco tutte le canzoni, ma capisco! Capisco perché siamo tutti qui: i Pearl Jam non sono i nostri idoli, qui non ci sono ragazzini innamorati di loro, siamo tutti un po’ troppo maturi, al massimo ci sono bambini al seguito dei loro genitori (con le cuffie antirumore da lavoro: geniale!) che hanno imparato ad apprezzare ciò che amano i loro genitori; i Pearl Jam non sono nemmeno la nostra religione, che ci attrae in 60.000: le scelte e le posizioni che il gruppo ha preso negli anni sono tante e non le condivido tutte (e forse come me anche altri), eppure sono qui e ho desiderato essere qui.

LA POTENZA DELL’ARTE

I Pearl Jam hanno la capacità di raccontare, descrivere, far vibrare emozioni universali, a partire dal particolare che dà origine alle loro composizioni. Siamo qui, tutti così diversi, eppure abbiamo in comune questo desiderio di ascoltare qualcuno che ci conosce e ci capisce perché descrive così bene come ci sentiamo, o ci è capitato di sentirci.

E mi rendo conto che la stessa cosa mi succede quando guardo le gare di ginnastica artistica o quando vado a vedere le cattedrali delle città o quando vado a vedere gli spettacoli di danza della compagnia Liberi di … è l’arte che nelle sue molteplici forme ci raggiunge e ci dice qualcosa che tocca le nostre emozioni e fa vibrare il desiderio di sentirci in comunione, capiti, compresi, non giudicati, liberi di dire la rabbia, la tristezza, la paura, il dolore, l’amore, la gioia, la nostalgia, la malinconia, l’euforia, l’allegria….

Per fortuna le forme d’arte sono molteplici e ognuno, attraverso i propri gusti, incontra una nota, un’immagine, una parola, un movimento che parla alle sue emozioni.

Per questo è bello e importante portare i nostri figli ai concerti e ai musei: sentirsi parte di un’universalità spaziale e temporale, comprendere come anche millenni fa le persone provavano queste emozioni, che anche lo sconosciuto che balla, dipinge, canta… prova (e riesce a descriverle meglio di altri) le mie stesse emozioni. Ed è rassicurante, è bello perché toglie la solitudine e permette di stare in contatto con quelle emozioni (che è una delle cose che anche noi come genitori siamo chiamati a fare).

E’ bello che i figli stessi, ma vale anche per gli adulti – vi racconterò di quando sono tornata a pattinare sul ghiaccio – possano sperimentarsi in un’attività che consenta anche attivamente di creare qualcosa che esprime il loro sentire, che renda condivisibile il loro sentire con altri. Comprendere ed essere compresi, forse sono queste le basi per amare e sentirsi amati.

Quando poi l’arte nelle sue molteplici forme spalanca anche alla possibilità di un significato che permette di stare dentro, di vivere tutta la gamma delle emozioni, allora avvertiamo la pienezza. E forse questo è il nostro scopo: scoprire e mostrare ai nostri figli che la sofferenza porta frutto e per questo le emozioni negative possono essere vissute. I Pearl Jam dicono di loro: “La miglior giustificazione per il nostro nome sta nel riferimento alla perla stessa e al processo naturale da cui proviene: parte da scarti ed escrementi per diventare qualcosa di bello. È così che è iniziata la nostra band”.

Concerto dei Pearl Jam POST SCRITTUM.

Aggiungo che l’arte per essere tale, antica o moderna che sia, non è certamente l’evacuazione delle emozioni, lo sfogo sregolato e disordinato: l’arte necessita innanzitutto di competenza, tecnica, rigore, studio. Richiede cura – del proprio corpo (pensiamo a un ballerino o a un cantante), cura dei materiali, cura delle attrezzature…-, richiede ordine e capacità di ascoltare le emozioni senza farsi travolgere. Infine ci vuole costanza e tolleranza della frustrazione perché il risultato non è immediato.

Quando portiamo i nostri figli ai concerti o ai musei insegniamo loro anche questo; quando si cimentano in attività creative sperimentano anche tutte queste dimensioni che l’arte richiede e imparano a diventare uomini e donne, capaci di dire, raccontare e narrare restando in contatto con le proprie emozioni senza restarne in balìa, sintonizzandosi con le altre persone per amare ed essere amati.

di Francesca Rossi

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