Di Eleonora Alvigini

Quando cadevo da piccola, mia mamma mi aiutava a rialzarmi, mi scrollava il terriccio di dosso e mi rassicurava dicendomi: “Ti fa male, lo so, perché sei caduta e hai raschiato il marciapiede. Ma fra poco passerà.” Poi con amore e pazienza asciugava le mie lacrime aspettando, senza fretta, che mi passasse la paura. Sempre mamma quando zia, la mia preferita si ammalò, mi disse che stava tanto male e che presto sarebbe andata in cielo. Io piansi quel giorno e lei mi disse che forse mi sarei sentita meno triste se le avessi scritto una lettera per dirle quanto le volessi bene e per salutarla un’ultima volta.

Le paure dei bambini sono vere e sono legittime, perfino ragionevoli, proporzionate alla loro età, e come tutte le reazioni di difesa, anche utili.

La funzione evolutiva della paura è sviluppare la virtù della prudenza, per imparare a difendersi e a prendere decisioni equilibrate; i compiti educativi di fronte alla paura chiamano gli adulti di riferimento a rassicurare e a incoraggiare attraverso la virtù della fortezza.

I bambini vogliono essere come la mamma e il papà, non hanno bisogno di supereroi straordinari, perché hanno già due eroi da imitare nei loro genitori.
A noi, dunque, il privilegio e la responsabilità di educare al coraggio e alla speranza.

Sono proprio le circostanze come quelle che stiamo vivendo tutti a causa della pandemia, che dura da più di due anni ormai, ad essere occasione di crescita affettiva ed emotiva. Spieghiamo ai nostri figli che il male si può sconfiggere con la virtù della sapienza, di cui medici e infermieri ovunque sono un esempio costante e prezioso; con la virtù della fortezza, di cui sono testimoni credibili le persone malate, in lotta per resistere e continuare a vivere;  con il coraggio e, per chi ne ha, con la fede perché anche di fronte alla morte si possa affermare in modo credibile che la vita non finisce qui.

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